Persistenza/per·si·stèn·za/sostantivo femminile
1. Persistenza delle immagini, la permanenza delle immagini sulla retina oltre il tempo della loro esposizione.
Dizionario della Lingua Italiana
Oggi ho avuto l’opportunità di seguire il bell’incontro di Andrea Loreni e Giulia Schiavoni, intitolato “Le radici nel cielo, la postura del funambolo come attitudine psicofisica per attraversare l’incertezza”. Assistere a questo momento di condivisione è stato un vero dono, che mi ha ulteriormente permesso di riflettere e interrogarmi sulla figura dell’educatore psicomotricista, e sulla valenza dell’educazione e della pratica psicomotoria. I racconti di Andrea e Giulia sono stati fortemente evocativi, e tramite la loro esperienza e le loro parole, ho potuto assaporare una parte della grande ricerca che hanno condotto e continuano a condurre sul funambolismo come metafora esistenziale. Il funambolo è colui che è capace di attraversare gli abissi sospeso sul cavo d’acciaio che lo collega tra il mondo del prima e quello del dopo, è colui che danza in un “mentre” che è sospeso ma presente, è colui capace di vivere nel qui e ora trasformando la sua esperienza corporea nella persistenza di un emozione reale, tangibile e radicata.
Questo vivere sospeso, ma radicato, nello spazio e nel tempo che il funambolo abita, mi ha fatto pensare molto alla figura dello psicomotricista, alla capacità che di osservare da punti di vista differenti, alla necessità di tenere ben saldo il cuore e l’attenzione su un obiettivo che ci conduce nella tempesta di emozioni che spesso si scatena nella sala, allo sguardo che deve spaziare sospeso ma sempre saldo in un presente che riempie ogni dimensione del nostro sentire e agire.
Mentre ascoltavo Andrea e Giulia ho percepito fortemente quanto questa esperienza possa imprimersi in noi in modo persistente e possa dare un senso, una rotta, una postura: nell’educare e in psicomotricità, uno sguardo che amplia l’orizzonte a livello di coscio e inconscio. Il funambolo vive nella persistenza, così come i bambini, l’educatore, il folle e lo psicomotricista. Perché è nel qui e ora, nello stare, nel librarsi nell’aria con il salto, nel secondo in cui il piede tocca il cavo, nella porta che si apre accogliendoti nella sala di psicomotricità, che si compie l’inizio del percorso che ti conduce tra tentativi di equilibri e disequilibri all’altro capo della tua esistenza, in un movimento che può andare dall’avanti all’indietro, al di sopra e al di sotto, dall’inizio alla fine e viceversa, in uno spazio ove si spiega il respiro con cui vivere, osservare, porsi domande, formulare tesi e risolvere quesiti.
Avete presente quell’elettricità che c’è nell’aria poco prima di una tempesta? Conoscete quella ansia che precede il momento dell’azione di ogni cosa? Avete mai osservato il momento preciso dove il corpo si piega e si carica di energia, il microsecondo che precede lo staccarsi da terra, i polmoni che si riempiono di aria, si raccoglie la propria forza come un elastico e poi in un attimo impercettibilmente lungo arriva il salto. Esplosione tonica di tutta l’energia del corpo, che si libera, e poi improvvisamente ritorna in noi quando ritroviamo il pavimento.
Il salto, metafora di ogni passaggio, di ogni relazione di fiducia con il mondo e con l’altro, il salto fermo immagine del volo di un corpo che per volare non è fatto.
L’equilibrio e poi il disequilibrio, la tensione e poi il rilasciamento, l’espansione e poi l’atterraggio, la poesia di un gesto che riassume il tutto, la società, la storia, l’evoluzione. L’umanità stessa è un bambino che saltella da un sasso all’altro cercando equilibri che continuano a rompersi e ricostruirsi.
Nel corso degli anni ho cercato a lungo il modo di comprendere a pieno quel momento, un momento che può sembrare alquanto banale a un osservatore disattento, ma che per uno psicomotricista racchiude il senso profondo dell’immobilità e del movimento stesso. Oggi ascoltando Andrea e Giulia ho trovato tante somiglianze tra il momento estatico del salto e il movimento del funambolo sul cavo sospeso.
Come sempre non sono neppure vicina alla fine della mia ricerca, ma nel mio puzzle personale di esperienze umane e educative, aggiungo oggi lo sguardo del funambolo, e lascio che sedimenti in me questa esperienza del mondo virtuale fino a quando il mio corpo e il tempo non saranno pronti a darmene un assaggio nella realtà.
Sospesa, tra un capo e l’altro del cavo, vivo nella permanenza. In questo qui e ora resisto alle tempeste, ai venti e alle fatiche, sapendo ciò che ogni psicomotricista ha appreso: solo esperendo le proprie fatiche, paure e gioie si può comprendere e accogliere quelle degli altri.